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Il bambino medievale. Storia di infanzie - Angela Giallongo - copertina
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2
1997
1 febbraio 1993
320 p., ill.
9788822005298

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1990)
recensione di Oliverio Ferraris, A., L'Indice 1991, n. 3

Anni orsono venne pubblicato un libro di Philippe Ariès intitolato "Padri e figli nell'Europa medievale e moderna" che ben presto divenne un classico. Secondo la tesi sostenuta in quel saggio, il sentimento dell'infanzia rappresenta un prodotto dell'epoca moderna, in gran parte legato alla famiglia nucleare e al benessere sociale. Una tesi utile, in una prima fase, in quanto ha consentito di cogliere le linee di importanti trasformazioni; ma insufficiente a spiegare testimonianze e fonti emerse in seguito. In particolare, l'inquadramento dello storico francese resta valido se riferito all'intera società e a un generico "individuo medio"; appare carente quando si riferisce a specifiche condizioni o classi sociali. Come indica Angela Giallongo in questo libro, il modo di intendere l'infanzia e gli atteggiamenti verso i bambini, nel medioevo, erano tutt'altro che omogenei e fortemente dipendenti dal contesto familiare e sociale, da fattori materiali e, non ultimi, sessuali.
Indagando sulla realtà quotidiana di epoche lontane emerge spesso la difficoltà di confrontarsi con fonti scarse e frammentarie. Nel tentativo di individuare delle linee evolutive e nello sforzo di fornire un'immagine coerente, lo storico rischia di disegnare un'immagine troppo lineare e semplificata del rapporto adulto-bambino, o di considerare un solo tipo di infanzia. Un noto saggio di Lloyd de Mause ("L'evoluzione dell'infanzia") rispecchia queste due "trappole" storiche: un'immagine dell'infanzia interclassista e un'eccessiva schematizzazione in cui la relazione adulto-bambino è periodizzata in sei "fasi": l'età dell'infanticidio (antichità - IV secolo d.C.), l'età dell'abbandono (IV-XIII secolo) e così via.
L'analisi proposta dalla Giallongo è più variegata e critica: da essa emerge che nel medioevo gli atteggiamenti nei confronti dell'infanzia sono stati determinati da un complesso intrecciarsi di schemi ideologici, pregiudizi, concezioni religiose e filosofiche così come da fattori materiali, pragmatici e sociali. Da un lato predominava una visione negativa dell'infanzia, in gran parte originata dalle concezioni di sant'Agostino e dei Padri della Chiesa, tese a svalutare le diverse età della vita dell'uomo a favore di un "progetto". L'unica dimensione temporale che contava era l'eternità, mentre il tempo terreno era privo di valore; poiché di fronte a Dio grandi e piccoli erano tutti "fanciulli", l'età infantile era assimilata a quella adulta. Questo orientamento non favoriva la formazione di una coscienza storica e sviliva una visione dinamica dell'esistenza e dello sviluppo psichico: secondo Agostino un'età della vita non costituiva la base per muovere all'età successiva in quanto "venendo un'età l'altra muore". Soprattutto l'infanzia veniva considerata una sorta di luogo simbolico dell'imperfezione, il punto più distante da quella congiunzione con Dio, che per un cristiano doveva rappresentare la vera nascita.
Questa visione in negativo portò a uno stile educativo fortemente repressivo, teso a promuovere un obiettivo supremo a scapito della vita sentimentale e individuale. Tuttora non si può ignorare, secondo la Giallongo, che, anche nei periodi bui, molti genitori si preoccupavano del destino dei figli. Intorno al VI secolo, per esempio, in una società ormai allo sfascio e preoccupata per la propria sopravvivenza, molti genitori si imponevano il sacrificio di separarsi dai figli in tenera età dedicandoli a Dio e affidandoli ai monaci, perché tra le mura del convento avrebbero potuto trovare protezione, sicurezza e qualche istruzione.
In periodi migliori, gli adulti potevano tener presenti quelle che oggi definiremmo le esigenze psicologiche dei figli, tentando di comprenderne l'indole e avviandoli alle attività più consone al loro temperamento. Ma le chances dei bambini molto dipendevano dalle condizioni sociali dei loro genitori, cosicché il destino dei diseredati non aveva nulla in comune con quello del chierico, del cavaliere o tantomeno del piccolo principe. In mancanza di pressioni parentali finalizzate al successo dei figli, erano i bambini delle classi umili a godere di una maggior libertà durante gli anni infantili, a potersi dedicare più a lungo ai giochi che stimolavano la loro abilità fisica, il loro sapere sociale, la loro stessa fantasia.
Nel suo studio la Giallongo dedica un ampio spazio ai "determinanti " sessuali. Nascere di sesso femminile comportava una drastica riduzione delle libertà individuali e delle possibilità di scelta. Questa differenza tra i sessi, che attraversa tutta la storia occidentale, ha delle caratteristiche proprie nell'epoca medievale: l'infanzia delle bambine durava meno di quella dei maschi; e, poiché i matrimoni potevano essere precocissimi, molte bambine nobili venivano allevate in casa del promesso sposo, cosicché perdevano la madre naturale, sostituita da una sorta di madre adottiva, la futura suocera.

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